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Speciale: James G. Mundie

Speciale: James G. Mundie
Bizzarro Bazar

In esclusiva per Bizzarro Bazar vi proponiamo l’intervista da noi realizzata all’artista James G. Mundie, disegnatore, fotografo e incisore. I suoi lavori più noti sono due serie di opere: la prima, intitolata Prodigies, è un’iconoclasta rivisitazione di alcuni classici della pittura di ogni epoca, all’interno dei quali i soggetti originali sono stati rimpiazzati dai freaks più famosi. Quello che ne risulta è una sorta di ironica storia dell’arte “parallela” o “possibile”, in cui la deformità prende il posto del bello, e in cui per una volta gli emarginati divengono protagonisti.
Il suo altro lavoro molto noto è Cabinet of curiosities, una serie di fotografie, schizzi e incisioni riguardanti le maggiori collezioni anatomiche e teratologiche conservate nei musei di tutto il mondo.

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Le fotografie fanno parte dei tuoi progetti tanto quanto i disegni. Ti ritieni più un fotografo o un illustratore?

Mi piace pensarmi come un creatore di immagini che utilizza qualsiasi strumento o mezzo sia appropriato. Questo significa talvolta disegnare, altre volte incidere su legno o fotografare. Comunque, ho cominciato ad considerare la fotografia come mezzo a sé solo da poco tempo. Ho sempre usato le fotografie come riferimenti, o come fossero dei bozzetti per altri progetti. Con il tempo, invece, ho cominciato ad apprezzare le foto che facevo nei loro propri termini estetici. Specialmente da quando sono diventato padre, la relativa immediatezza dell fotografia è stata un cambiamento benvenuto rispetto ai metodi più laboriosi che uso nei disegni e nelle incisioni, che possono prendere settimane o mesi (addirittura anni!) per emergere.

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Riguardo alla serie Prodigies, come è nata l’idea di unire il mondo dei freakshow con quello dell’arte classica, e perché?

Ho sempre disegnato ritratti, e intorno al 1996-97 stavo cercando nuove ispirazioni. Ho cominciato a pensare alle fotografie di strane persone, come Jojo il Ragazzo dalla Faccia di Cane, che avevo visto decadi prima, e pensai che sarebbe stato divertente lavorarci. Cominciai a fare ricerche sui sideshow, e presto scoprii qualcosa di molto più bizzarro di quello che ricordavo dalla mia infanzia. Iniziai a trovare anche dettagli sulle vite di questi performer che li fecero risultare molto più veri ai miei occhi – cioè, più di qualcosa di semplicemente anomalo e strampalato. Prodigies è cominciato come una sfida, per vedere se sarei riuscito a mescolare questi inquietanti e affascinanti performer di sideshow ai miei quadri preferiti.
Mi resi conto che la presentazione circense dei freaks era spesso basata sull’esagerazione – ai nani venivano assegnati titoli militari come Generale o Ammiraglio, le persone molto alte venivano reinventate come giganti, ecc.; e nella storia dell’arte succedeva lo stesso, quello che vediamo nei quadri era, all’epoca, una commissione commerciale all’artista da parte di una persona benestante che voleva lasciare un ricordo di sé e del suo successo. In questo senso, un ritratto di Raffaello di un qualsiasi cardinale o poeta non è molto differente dalle cartoline di presentazione dei freaks vendute dal palcoscenico. Entrambe le cose cercano di proiettare e/o vendere un’identità. “Perché non portare il tutto a uno stadio successivo, e permettere ai freaks di abitare o rimodellare le storie raccontate nei dipinti classici?”, pensai. Ovviamente non volevo procedere a casaccio. Dovevo avere un buon motivo per collegare un performer con un certo quadro, che fosse una storia in comune, o un atteggiamento, o un elemento compositivo che mi ricordava la figura di un freak. Questo significa che sto ancora cercando l’accoppiata ideale per alcuni fra i miei performer preferiti, come ad esempio Grady Stiles l’Uomo Aragosta. Dall’altra parte, ci sono dipinti così iconici che risulta difficile utilizzarli senza apparire risaputi o pigri.

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La serie Prodigies è percorsa da una vena di humor iconoclasta. Potrebbe essere letta come una “legittimazione” dei diversi, a cui viene data la possibilità di essere protagonisti della storia dell’arte; ma anche come una specie di sberleffo nei confronti del concetto storico e assodato di “bellezza”. Quale interpretazione ti sembra più corretta?

Sono entrambe corrette. Anche se è di moda oggi denigrare i freakshow come una reliquia culturale barbarica da dimenticare, credo che servissero una funzione necessaria nella società – e che non è ancora sparita. E vedo queste persone che lavoravano nei freakshow – anche se spesso sfruttate – come degli eroi, per aver affrontato le circostanze peggiori e averne tratto il maggiore successo possibile. Queste erano persone che non sarebbero mai state accettate nella società beneducata, eppure trovarono una comunità che si strinse attorno a loro e li celebrò. Invece di essere chiusi negli istituti, vissero bene la loro vita con la loro famiglia, recitando sul palcoscenico un ruolo creato ad arte. C’è un certo carattere di nobiltà, in questo. Sì, la gente guardava e di tanto in tanto li scherniva, ma almeno ora pagavano per il privilegio. Quindi, chi è che era veramente sfruttato? Anche ora vogliamo guardare, ma la maggior parte di noi non è abbastanza sincero da ammetterlo.
Molte delle presentazioni utilizzate nei freakshow erano intenzionalmente umoristiche, quasi ridicole. Credo che quello humor servisse perché il pubblico si sentisse meno a disagio, e anche per dare al performer una protezione emotiva. Una parte del fascino dei freakshow è di confrontarsi con le proprie paure. Vedi qualcuno sul palco a cui mancano degli arti oppure deforme, e naturalmente pensi “E se quello fossi io?”. Quindi ho spesso inserito dei piccoli tocchi scherzosi, per aiutarmi a metabolizzare queste domande, e per tirare un salvagente allo spettatore. Allo stesso tempo sto prendendo in giro alcuni dei pilastri della storia dell’arte. C’è un sacco di materiale esilarante con cui lavorare, se lo guardi con mente aperta. Per esempio alcune convenzioni formali che troviamo in antiche istoriazioni sugli altari: è piuttosto divertente, oggi, vedere come i santi sono raffigurati cinque volte più grandi dei meri mortali. È liberatorio camminare in un museo e permetterti di ridere, anche se per molte persone è puro sacrilegio.
Gran parte di ciò che oggi reputiamo “bello” è semplicemente regolare, uniforme. Le nostre idee moderne di bellezza ci vengono propinate dai giornali di moda, televisione e affini. Eppure, in queste strane persone che io disegno – con le loro proporzioni imperfette – andiamo oltre il bello per avvicinarci al sublime. Uno dei principi guida per me in questo progetto è quello che Sir Francis Bacon scrisse nel 1597: “non c’è beltà eccellente che non abbia in sé una qualche misura di stranezza”.

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In uno dei tuoi disegni, ti autoritrai nei panni di un anatomista dilettante, e molti dei tuoi lavori raffigurano anomalie patologiche. Qual è il tuo rapporto con i tuoi soggetti? Ritieni di avere un occhio freddo e clinico oppure c’è un’empatia con la sofferenza che spesso implica l’anatomia patologica? E, ancora, cosa vorresti che provasse chi guarda i tuoi disegni?

Anche se un certo distacco è necessario per rimanere oggettivi, non posso impedirmi di immedesimarmi nei miei soggetti. Queste erano persone reali che affrontavano circostanze che non posso nemmeno immaginare. Quando attraverso una collezione anatomica, mi ritrovo a chiedermi chi fosse la persona da cui questa o quella parte è stata tolta e preservata. Oggi, i casi sono presentati in maniera anonima, ma negli scorsi secoli era comune accludere informazioni biografiche sul paziente. Credo che in questa fissazione di proteggere la privacy degli individui stiamo inavvertitamente negando la loro umanità, perché ora ciò che vediamo è una malattia invece che una persona. Anche se non è mia intenzione forzare nello spettatore alcuna emozione o idea (e spesso la gente trova nei miei lavori dei significati che non ho mai inteso esprimere), spero che almeno porti con sé il senso che i miei soggetti sono o erano persone vere, degne di considerazione.

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Il tuo nuovo progetto, Cabinet of curiosities, è basato sulle tue visite ai musei anatomici americani ed europei. Cosa ti attrae nei reperti anatomici e teratologici?

Sono sempre stato interessato a come le cose funzionano, in particolare all’anatomia. Quello che mi interessa delle collezioni patologiche o teratologiche è che questi strani esemplari ci mostrano cosa sta succedendo a livello cellulare, genetico. Esaminando il sistema danneggiato, impariamo come funziona quello in salute. Sono anche affascinato dagli antichi sistemi usati per catalogare e organizzare il mondo naturale, e la teratologia – lo studio dei mostri – è un esempio particolarmente interessante. Anche l’idea del museo, nato come collezione personale per diventare istituzione pubblica è affascinante, e condivide molti aspetti con i freakshow. Alcuni di questi preparati sono strani e bellissimi, e presentati in maniera molto elaborata. Quindi Cabinet of Curiosities è un tentativo di documentare il punto in cui questi due mondi si intersecano.

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Quale pensi sia il rapporto fra medicina ed arte, e più in generale fra scienza ed arte?

La medicina è stata considerata un’arte per molto più tempo di quanto non sia stata vista come scienza. La società non si libera da una simile associazione da un giorno all’altro, così ancora oggi continuiamo a  parlare dell’abilità di un chirurgo come fosse quella di uno scultore. Ma anche da un punto di vista strettamente pratico, i dottori hanno bisogno degli artisti perché le rappresentazioni artistiche sono da sempre una componente essenziale nell’educazione medica e nella sua comunicazione. Sin dal Rinascimento gli illustratori hanno insegnato l’anatomia a generazioni di medici, e in quel modo la pratica artistica dell’osservazione ha aiutato la medicina ad uscire dalla via puramente teorica. Penso che possiamo affermare che questo ruolo comunicativo valga anche per le scienze in generale, perché l’arte può aiutare a spiegare complesse teorie anche a persone che non masticano la materia. Un artista può fungere da legame tra lo scienziato e il pubblico, rendendo comprensibili le scoperte scientifiche – ma può anche servire come critico. In questo modo, l’arte può divenire una sorta di specchio morale per la scienza.

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Nelle tue parole, “questi preparati anatomici rappresentano il punto di intersezione fra scienza, cultura, emozione e mito”. Credi che ci sia bisogno di miti moderni? Pensi che questi nuovi miti possano provenire dal mondo della scienza, invece che da quello magico-religioso come nel passato? Il tuo lavoro fotografico e di illustrazione può essere letto come un tentativo di dare una dimensione mitica ai tuoi soggetti? Sei religioso?

Penso che noi creiamo in continuazione nuovi miti, o che ne risvegliamo e reinventiamo di vecchi. Fa parte della natura umana.
La scienza per molte persone ha sostituito la religione come fondamentale via d’ispirazione, ma in realtà sappiamo ancora così poco dell’universo, che c’è ancora molto terreno fertile per la fantascienza. Con la nascita di Scientology abbiamo visto addirittura la fantascienza trasformarsi in religione! Io non sono assolutamente una persona religiosa, ma penso che spesso cerchiamo di riporre le nostre speranze in un potere che sta al di fuori di noi. Per alcuni, questo significa una divinità che è personalmente interessata a come ci vestiamo, o a cosa mangiamo il venerdì; per altri vuol dire l’idea che il genere umano troverà finalmente la cura per il cancro e imparerà i segreti per viaggiare nel tempo. Così nel mio lavoro mi ritrovo a raccontare storie, o quantomeno a predisporre il seme di una storia che ognuno può trasformare nel racconto che desidera.

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Anche tua moglie Kate è un’artista, ma i suoi quadri sembrano essere completamente distanti dal tuo mondo – solari, impressionisti, colorati. Se non sono indiscreto, come vi rapportate l’uno con l’arte dell’altra?

Siamo i migliori critici l’uno dell’altra. Siccome i nostri lavori sono così differenti, non c’è competizione fra noi, e ci diamo costantemente dei pareri e delle idee.

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Chi è appassionato di stranezze, corre il rischio di essere reputato egli stesso strano. Cosa pensano delle tue passioni gli amici e i parenti?

Alcune persone amano stare a guardare i treni, o ascoltare gli Abba. Io amo i freaks. Tutte le persone più interessanti sono strambe.

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Ecco i siti ufficiali di Prodigies, e di Cabinet of Curiosities.

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